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Le persone che soffrono di ansia la descrivono molto spesso come uno status indesiderato e chiedono frequentemente un consulto psicologico con l’intento di liberarsene. In seduta, riportano molteplici tentativi, mancati, per poter risolvere il problema, portando con sé non solo l’esperienza debilitante originale, ma anche il vissuto di fallimento.

INFORMAZIONI PRELIMINARI
L’ansia è dilagante nella nostra società. Secondo l’OMS sono 260 milioni le persone al mondo che ne soffrono, in Italia l’Istat (2017) ne conta 2,5 milioni. Spesso le persone spiegano l’ansia sotto forma di sintomi fisici e modificazione fisiologiche: palpitazioni, secchezza delle fauci, nausea, dolori addominali, difficoltà di respirazione o sensazioni di soffocamento, torpore, vertigini, fastidi al torace, aumento della tensione muscolare, tremori, riduzione dell’attenzione e difficoltà nella concentrazione.

La maggior parte delle persone non associano questi sintomi a ciò che sta accadendo fuori e dentro di loro, considerandoli solo come prova di una imminente catastrofe fisiologica (temono di perdere il controllo, di avere un collasso fisico, uno svenimento, di impazzire o di morire).

GIRARE IN TONDO
Tutto ciò non fa altro che allarmare ulteriormente l’organismo, con conseguente effetto amplificatorio dei sintomi. Tutte le persone con Disturbi d’Ansia hanno bisogno di comprendere le normali dinamiche dell’ansia, in particolare da dove origina, come si traduce in termini fisiologici e a qual è il motivo della sua esistenza.

I Disturbi d’Ansia non consistono soltanto in uno stato di ansia eccessivo: l’ansia è una sensazione normale. Le persone con Disturbi d’Ansia, di solito, non si lamentano semplicemente di essere troppo spesso eccessivamente ansiose, ma chiedono aiuto riferendo paure specifiche e ricorrenti che riconoscono come irrazionali e in un certo senso intrusive. Nello specifico, le persone con Disturbo d’Ansia hanno paura di avere un collasso fisico nel Disturbo da Panico e nell’Agorafobia; di ricevere un giudizio negativo nella Fobia Sociale; che accada qualcosa di male a sé o ai propri cari nel Disturbo d’Ansia Generalizzato; di arrecare danno a sé o alle persone a cui si tiene nel Disturbo Ossessivo-Compulsivo; di essere esposti a un danno, in realtà improbabile, nelle fobie specifiche; e infine temono il ricordo intrusivo di passate situazioni di pericolo nel Disturbo Post-Traumatico da Stress.

IL CONTRIBUTO DELLA RICERCA IN PSICOLOGIA
Per la maggior parte di noi l’ansia, cronica o anche occasionale, è uno stato alieno e indesiderato dei nostri vissuti; qualcosa da sedare se non proprio estirpare. Tuttavia, la ricerca ci esorta a guardare il problema sotto un altro punto di vista. Alcuni studi hanno indicato che è principalmente la paura di rischiare ciò che caratterizza maggiormente le persone ansiose; ovvero che le persone molto ansiose sono più riluttanti a prendersi rischi rispetto alle persone meno ansiose. Consapevoli che la loro ansia eccessiva può portarli a combinare pasticci, tendono a evitare situazioni difficili per non fare ulteriori figuracce e si rimettono alle decisioni degli altri piuttosto che correre il rischio di farsi avanti e agitarsi senza necessità.
Altri studi hanno osservato come le preoccupazioni croniche possano avere un ruolo positivo e benefico nell’aumentare la salute psicologica, nella misura in cui favoriscono comportamenti preventivi e protettivi rispetto a eventi spiacevoli. Un aspetto positivo dell’ansia consiste quindi nell’aiutare la persona nel recupero da eventi traumatici e da depressione, spingendola a ricercare maggiori informazioni rispetto eventi stressanti ed esortandola a preparare e pianificare comportamenti più adattivi. In sintesi: esortarla verso una risoluzione dei problemi più efficace. Quindi, un importante beneficio positivo delle preoccupazioni è essere maggiormente centrati e connessi a situazioni che richiedono un’azione.

LA LEGGE DI YERKES-DODSON
In realtà, questi studi confermano la validità di un modello ampiamente utilizzato nel trattamento dei disturbi dell’ansia: La legge di Yerkes-Dodson.

I due autori hanno descritto la relazione tra ansia e rendimento, al fine di aiutare le persone in trattamento a comprendere gli effetti facilitanti e debilitanti dell’ansia normale. Il rendimento (si intende delle generiche attività quotidiane) aumenta quando cominciano ad aumentare attenzione e vigilanza; pertanto, l’ansia inizialmente è facilitante. Aumenti del livello di ansia oltre il livello ottimale possono avere effetti debilitanti, riducendo rapidamente le risorse personali. “Gioco meglio quando sono carico” è un’espressione colloquiale dell’ansia facilitante, mentre “ho perso la testa” è un’appropriata descrizione degli effetti dell’ansia debilitante.
Troppe e troppe poche preoccupazioni possono interferire con la motivazione, ma la giusta dose di preoccupazione può motivare senza paralizzare.

Preoccuparsi della giusta quantità è molto meglio che non preoccuparsi affatto

IL TRATTAMENTO DELL’ANSIA
Il concetto dell’utilità dell’ansia è molto importante nella gestione dei Disturbi d’Ansia. Nei paragrafi precedenti abbiamo visto come l’ansia non sia solo un fattore facilitante le performance quotidiane (se contenuta nei livelli ottimali) ma anche un fattore protettivo rispetto a possibili traumi e situazioni stressanti non, o non ancora, elaborati. Infatti, il cervello è programmato per prestare più attenzione agli stimoli pericolosi o negativi, piuttosto che a quelli positivi e gratificanti. In caso di situazioni emotivamente minacciose, l’organismo reagisce in automatico attivandosi per far fronte alla possibile minaccia. A sostegno di ciò, è stato evidenziato come un eccesso di eventi percepiti come avversi precede l’esordio del Disturbo da Panico, della Fobia Sociale e del Disturbo Ossessivo-Compulsivo. La sottolineatura alla parola percepiti è importante per comprendere come la gravità emotiva di un evento stressante dipende più dalla percezione soggettiva della persona, che dall’evento in sé. Esistono persone che, per biologia e per esperienze di vita, a parità di evento, risultano essere più sensibili di altre.
Il trattamento deve iniziare lentamente a causa degli effetti debilitanti dell’ansia. Di fatti, molte persone in terapia riferiscono che le prime sedute “sono tutte un ricordo confuso, ero troppo ansioso per concentrarmi”. È utile quindi che il trattamento dell’ansia proceda in due direzioni:

  1. Verso le cause scatenanti gli eccessivi livelli di ansia. Il lavoro sugli eventi ad elevato stress emotivo consente la riparazione delle memorie traumatizzate, con effetto disattivante sull’organismo. Queste strategie hanno l’obiettivo di ridurre l’attivazione dell’organismo agendo come un lenitivo, direttamente sulla causa da cui origina lo stato di allarme. Come detto all’inizio, spesso le persone non hanno chiaro da cosa derivi lo stato di allerta e percepiscono l’attivazione corporea come immotivata e quindi indesiderata. Nella pratica clinica si assiste ad un notevole passo avanti nel benessere della persona già dal momento in cui si riesce a fare un link tra lo stato di ansia e il trauma vissuto.
  2. Verso la realizzazione di sé stessi. Molte persone che soffrono di ansia hanno imparato a temere e ad evitare situazioni che producono un’ansia normale, e così reagiscono all’ansia come se fosse anormale, cosa che causa di conseguenza paura e aumenta il loro disturbo. I risultati degli studi sopra citati suggeriscono che gli psicoterapeuti dovrebbero incoraggiare gli individui ansiosi ad aumentare la loro tolleranza al rischio piuttosto che smorzare la loro sensibilità verso risultati negativi. È già stato detto che l’ansia può essere utile, occorre perciò aiutare le persone ansiose ad adottare strategie efficaci, che gradualmente rafforzino la resilienza verso l’assunzione di rischi proprio in quelle aree che generano ansia.

CONCLUSIONI
Nella pratica clinica si osserva come spesso le persone che richiedono un trattamento (per qualsiasi disturbo) siano state talmente tanto a contatto con il loro problema, che sono diventate IL problema stesso! Questo le ha letteralmente disabituate a pensare e a vivere la vita libera dal problema e a realizzare sé stesse partendo dai propri talenti. A volte le persone in terapia non sono soddisfatte del trattamento perché, nonostante abbiano lavorato sul disturbo, non percepiscono un reale stato di benessere.

Faccio sempre gli stessi errori, ma almeno sono sicuro di ciò che faccio…

Paradossalmente, ritrovarsi “senza il peso dell’ansia” è un’esperienza per molti nuova e sconosciuta, e per persone abituate ad evitare rischi e novità, vedere l’ansia come un’alleata potrebbe rappresentare una difficoltà. Occorre accompagnare le persone in una ricostruzione completa della propria vita, sostenendole anche e soprattutto nell’espressione di tutte quelle parti di sé rimaste atrofizzate (o perfino mai conosciute!) a causa dell’ansia.
Per tutte queste ragioni, la conoscenza degli effetti positivi e negativi dell’ansia sul rendimento personale è utile alle persone in trattamento ed è inclusa in molti manuali di terapia.

Bibliografia

  • Andrews G., Creamer M., Crino R., Hunt C., Lampe L. e Page A. (2003). Trattamento dei disturbi d’ansia. Guide per il clinico e Manuali per chi soffre del disturbo. Centro Scientifico Editore.
  • Giusti E. e Di Fazio T. (2008). Psicoterapia integrata dello stress. Il burn-out professionale. Sovera Edizioni.
  • Giusti E. e Picerni E. (2013). Dissociazioni e conflitti. Valutazioni e terapia delle unità traumatizzate. Sovera Edizioni.
  • Giusti E. e Barbuto F. (2014). Cambiamento e resistenza in terapia. L’aderenza veloce al trattamento. Sovera Edizioni.
  • Pacifico M. e Fiume G. (2017). Una bussola per l’ansia. 65 quesiti e 65 risposte per capirla, sconfiggerla e vivere meglio. Franco Angeli
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